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Cosa prevede la Legge in merito alla cessione dell’azienda

La cessione di un’azienda e quindi la normativa che ne regola e ne disciplina i passaggi deve essere spiegata e analizzata da due punti di vista paralleli ma dipendenti l’uno dall’altro. Da un lato l’aspetto strutturale, del passaggio di immobili e soprattutto del passaggio dei lavoratori da proprietario all’altro; dall’altro l’aspetto propriamente fiscale, contributivo. Due lati della stessa procedura, che riguardano degli adempimenti ai quali non è possibile sottrarsi e in nome dei quali occorre agire.

La normativa del lavoro, l’art 2112 cc e la legge comunitaria

Dal lato civile, parlando quindi di norme e leggi affrontate e impugnate da sindacati, associazioni di categoria e giuslavoristi, la cessione e il trasferimento d’azienda sono disciplinati primo fra tutti dall’art.2112 del Codice civile. Un articolo chiave, modificato in alcune sue parti sostanziali prima dalla Legge 428/90 e poi recentemente dalla Legge 30 del 2003, la legge Biagi. L’articolo in questione, base della normativa italiana sulla cessione d’azienda in questo modo si esprime:

Art. 2112 – Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda:

1. In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
2. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
3. Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario. L’effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.
4. Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all’art. 2119, primo comma.
5. Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.
6. Nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all’art. 1676”.

L’attuale testo dell’articolo, redatto nella forma con la quale è stato qui presentato, è frutto delle modifiche arrecate dall’introduzione dei due provvedimenti succitati. In particolare, la prima delle integrazioni è arrivata dalla “Legge Legge 29 dicembre 1990, n. 428 – Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee (legge comunitaria per il 1990)”. Un testo corretto a sua volta integrato e corretto dal “Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 18 Attuazione della direttiva 98/50/CE relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti”.

Le modifiche arrecate hanno interessato i rapporti tra acquirenti e sindacati, la comunicazione necessaria tra le parti:

“Art. 47. Trasferimenti di azienda -   1. Quando si intenda effettuare, ai sensi dell’art. 2112 del codice civile, un trasferimento d’azienda in cui sono occupati più di quindici lavoratori, l’alienante e l’acquirente devono darne comunicazione per iscritto, almeno venticinque giorni prima, alle rispettive rappresentanze sindacali costituite, a norma dell’art. 19 della Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e nell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nelle unità produttive interessate, nonché alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione alle associazioni di categoria può essere effettuata per il tramite dell’associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato. L’informazione deve riguardare:

a) I motivi del programmato trasferimento d’azienda;
b) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori;
c) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi.

2. Su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali aziendali o dei sindacati di categoria, comunicata entro
sette giorni dal ricevimento della comunicazion, l’alienante e l’acquirente sono tenuti ad avviare,
entro sette giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti.
La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo.
Il mancato rispetto, da parte dell’acquirente o dell’alienante, dell’obbligo di esame congiunto previsto nel presente
articolo costituisce condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300”.

L’unico passaggio non toccato dall’articolo 47 della Legge 429/90 riguardava i commi 5 e 6, ovvero i passaggi caldi riferiti alla possibilità di cedere o trasferire parti d’azienda, rami, sezioni. Il codice civile fino al 2003 prevedeva che la cessione di una parte d’azienda fosse vincolata dall’autonomia della sezione e dal fatto che tale condizione fosse preesistente e quindi non giustificata dal volontà recenti di scorporo o cessione.

Nel 2003 però il Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30″ ha riscritto la norma eliminando il requisito di preesistenza delle condizioni fino a quel momento necessarie. Stabilendo quindi la sufficienza nel caso, di una valutazione dell’autonomia funzionale svincolata da dimostrazioni relative al periodo precedete l’imminente cessione. L’articolo del decreto era il 32, e questo prevedeva e questo attualmente prevede.

“Art. 32 – Modifica all’articolo 2112 comma quinto, del Codice civile; 1. Fermi restando i diritti dei prestatori di lavoro in caso di trasferimento d’azienda di cui alla normativa di recepimento delle direttive europee in materia, il comma quinto dell’articolo 2112 del codice civile è sostituito dal seguente: «Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento».

2. All’articolo 2112 del codice civile e’ aggiunto, in fine, il seguente comma: «Nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all’articolo 1676».

Il contratto di cessione d’azienda e la normativa fiscale

La cessione d’azienda viene intesa come cessione di beni destinati all’esercizio dell’impresa. Come visto in precedenza la pratica potrebbe riguardare secondo la normativa corrente tutti i beni aziendali e i rapporti giuridici, o i beni aziendali e i rapporti giuridici di una parte della società, di un ramo dotato di autonomia operativa. In ogni caso esiste tra la parte cedente e l’acquirente un vincolo economico e burocratico, connesso a obblighi di legge che si estingue al momento del compimento della cessione.

Il regime tributario che vige nel corso della cessione è un regime speciale, che termina la propria esistenza al momento della conclusione dell’iter. È un regime particolare, che interessa sia le imposte dirette come IRPEF, IRES, IRAP, quanto le imposte indirette in particolare IVA.

La cessione d’azienda o di un ramo di essa rientra in un’operazione esclusa dall’applicazione dell’IVA, mentre è soggetta contemporaneamente all’imposta di registro. L’aliquota applicata dall’imposta di registro è del 3% e si applica sul valore totale dei beni che costituiscono l’azienda al netto delle passività risultanti dalle scritture obbligatorie. Se nel contratto di cessione sono presenti beni, come ad esempio i beni immobili, per i quali la normativa statale prevede differenti regimi fiscali, l’aliquota viene calcolata su differenti basi imponibili, riferite ad ognuno di essi al fine di calcolare in modo proporzionale le passività. Gli stessi immobili sono poi ovviamente soggetti a imposte ipotecarie pari al 2% e catastali pari all’1%. La cessione non è soggetta a IRAP mentre sulla plusvalenza vengono applicate IRPEF e IRES.

La tassazione è sottoposta a tre regimi: regime normale di tassazione, regime normale-differito, regime di tassazione separata. Tre regimi derivanti da fattori incrociati che riguardano l’entità del cedente che sia imprenditore individuale, individuale che cede una tra le proprie aziende, o società; da quanti anni il cedente ha l’azienda, se minore di tre, compreso tra tre e cinque, maggiore di cinque anni.

Ancora, il cessionario, oltre al pagamento della tasse suddette può essere tenuto al pagamento delle imposte riguardanti violazioni che si riferiscono all’anno della cessione o ai due precedenti.

L’articolo 14 del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 “Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662”, così si esprime in merito:

“Il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore”.